Si avvicina la crisi per Xiaomi? Il valore della società crolla di 40 miliardi di $ in 18 mesi

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    Il mercato degli smartphone, come ci hanno insegnato Nokia, Blackberry, Siemens e, in parte, Motorola, non è un settore nel quale ci si può mai adagiare sugli allori. La tecnologia si muove velocemente, i gusti e le abitudini degli utenti cambiano rapidamente e diventa sempre più difficile, vista l'enorme concorrenza, fidelizzare i clienti ad un brand con scarsa capacità di innovazione. Il gioco dura poco; dopo uno o due anni si finisce per passare alla concorrenza.

    La prossima storia a non avere un lieto fine potrebbe provenire dalla rampante Cina. Il più grande mercato del mondo è, al momento, la culla di numerose società che, nel giro di pochi anni, sono riuscite a costruirsi un nome e ad accumulare piccole fortune partendo dal nulla. Una di queste realtà, la più rappresentativa e nota, è Xiaomi.

    Xiaomi è stata la startup con la crescita più alta mai registrata al mondo. In soli 6 anni di attività si è passati dallo sviluppo di ROM e interfacce alla produzione di una lineup estremamente numerosa di smartphone e phablet, oltre a moltissimi altri dispositivi, tutti facenti parte dell'ecosistema Mi, con i quali Xiaomi ha esteso la sua presenza in praticamente ogni campo dell'elettronica di consumo. L'immensa crescita di Xiaomi ha raggiunto il suo apice quando, nel dicembre del 2014, la società ha ricevuto finanziamenti per 1.1 miliardi di dollari a fronte di una valutazione del valore della società stimato in 45 miliardi di dollari. Si tratta di cifre da capogiro, considerando che nel novembre dello stesso anno il valore era stimato in 40 miliardi di dollari, circa il 10% in meno.



    Insomma, quella di Xiaomi la si potrebbe raccontare come la storia di un piccolo grande miracolo cinese, se non fosse che ad oggi, circa 18 mesi dopo questa promettente valutazione, il valore di Xiaomi è crollato a poco più di 4 miliardi di dollari. Che fine hanno fatto i restanti 41 miliardi? Cosa ha portato la Apple orientale a perdere oltre il 90% del suo valore? Alcune risposte ci arrivano dal noto investitore Yuri Milner, già protagonista di scommesse particolarmente riuscite con Facebook (prima della sua quotazione in borsa) e il colosso cinese Alibaba.

    Fondamentalmente, la società non è stata in grado di centrare alcuno degli obiettivi che si è data negli ultimi mesi, a cominciare dalle stime di vendita, spesso riviste al ribasso nel corso dell'anno, sino al conseguimento di scarsi derivanti dalla vasta gamma di prodotti che sono stati commercializzati durante questi mesi. Lampadine, visori VR, bollitori di riso, batterie, e chi più ne ha più ne metta, nessuno di questi prodotti è stato in grado di realizzare un ritorno economico che sia stato in grado di produrre profitti in grado di giustificarne la messa in commercio. Ma questo non basta a spiegare il crollo vertiginoso del valore di Xiaomi, dal momento che il vero settore in crisi è quello legato agli smartphone, i quali rappresentano l'85% delle entrate della società cinese.

    Nel corso degli ultimi anni (e i nostri lettori se ne sono spesso accorti nei loro commenti), Xiaomi sembra aver perso di vista qualsiasi obiettivo, limitandosi a riproporre, con una velocità estremamente esagerata, infinite varianti dello stesso prodotto, tutte caratterizzate da una differenziazione minima che solitamente non giustifica il passaggio da un modello all'altro. Oltre a questo, la società non è stata in grado di cogliere il cambiamento fondamentale che sta caratterizzando il mercato cinese, il principale a cui si rivolge. Sempre più utenti cinesi, infatti, sono meno interessati ai dispositivi di fascia bassa, cercano prodotti in grado di differenziarsi maggiormente e sono più desiderosi di spendere. Il ritardo nella commercializzazione di Mi Note 2, il quale verrà presentato solo nei prossimi giorni, è un chiaro esempio di questa cattiva interpretazione del mercato, dal momento che Xiaomi ha presentato, per circa 6 mesi, una serie continua di base/medio di gamma in grado di erodersi fette di mercato a vicenda.



    Gli ultimi mesi ci hanno mostrato come il mercato degli smartphone abbia raggiunto un livello di maturità tale che l'incremento di prestazioni non è più in grado di spingere da solo le vendite. Gli utenti, specialmente in questo 2016, sono spinti ad aggiornare il proprio dispositivo solo se riescono ad intravedere una parvenza di innovazione oltre al mero incremento di specifiche tecniche. Non è un caso che i prodotti di maggior successo nel 2016, sino ad ora, sono quelli che hanno messo in secondo piano la corsa alla scheda tecnica più potente, per concentrarsi sull'offrire soluzioni nuove, design perfezionati e preziosi accorgimenti software.

    In tutto questo Xiaomi ha perso la spinta propulsiva che permetteva ai suoi prodotti di essere preferibili a quelli dei brand concorrenti. La carta dell'hardware top ad un prezzo competitivo non è più una sua esclusiva e produttori come OnePlus, Oppo, Vivo e LeEco hanno cominciato a giocare secondo le regole di Xiaomi, introducendo di fatto una concorrenza spietata all'interno di un settore estremamente rischioso. Quando si vende un prodotto con un margine di guadagno minimo è facile finire per realizzare perdite invece che guadagni.

    I dati di IDC mostrano che nel secondo trimestre del 2016 il mercato cinese è cresciuto del 4.6%, le vendite di Xiaomi sono calate del 40% e i suoi concorrenti, all'interno della stessa fascia, hanno tutti visto dei segni positivi accanto ai propri risultati. Questo ci riporta al discorso della scarsa possibilità di fidelizzare la propria clientela, sopratutto all'interno del mercato cinese, il quale si presenta come un mercato estremamente fluido, nel quale i clienti non mostrano alcun segno di fedeltà verso i brand. Xiaomi può ancora contare su una fanbase particolarmente sfegatata, apparentemente pronta ad acquistare qualsiasi prodotto a marchio Mi che sia in grado di proporre, tuttavia i risultati stanno mostrando come questa affezione sia in realtà poco efficace al fine di mantenere un modello di crescita sostenibile.



    Un altro dei grossi problemi che minacciano il futuro di Xiaomi è la sua scarsa presenza a livello mondiale e l'incapacità di poter competere in mercati maturi. Sino a quando si tratta di proporre i suoi prodotti ufficialmente solo sul mercato cinese, Xiaomi è protetta dalle politiche nazionaliste adottate dagli enti regolatori cinesi in materia di brevetti, i quali tendono a rendere estremamente difficile certificare l'infrazione di un brevetto da parte di una società cinese nel suolo cinese. Il discorso cambia nel momento in cui Xiaomi dovesse confrontarsi con i mercati internazionali, nei quali si ritroverebbe costretta a dover fare i conti con numerose infrazioni, come è accaduto in occasione del suo debutto in India. Il mancato debutto sui mercati internazionali, costantemente atteso dagli investitori, ha senza dubbio minato la capacità di Xiaomi di competere a livello globale; molti concorrenti connazionali, come Meizu, OnePlus, LeEco e Huawei hanno già provveduto ad estendere la loro presenza nei mercati occidentali e non sarà facile per Xiaomi colmare il gap.



    Xiaomi si trova quindi ad un punto cruciale per la sua sopravvivenza. È ormai chiaro che molti investimenti, come ad esempio Ninebot, non saranno mai in grado di generare utili nel medio periodo, motivo per cui appare necessario un drastico cambio di rotta. Probabilmente Xiaomi dovrebbe seriamente rivedere i piani relativi alle sue lineup di smartphone, riducendo drasticamente il numero di terminali e varianti, ma sopratutto devono necessariamente aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Sviluppare una propria personalità, un approccio al design che possa essere riconoscibile, scelte software e hardware che vadano oltre alla scheda tecnica all'ultimo grido (l'esempio lampante è mTouch di Meizu).

    A 6 anni dal suo debutto, dopo una giovinezza caratterizzata dal successo e della fama, Xiaomi si ritrova a dover ripartire da zero e mettere in dubbio molte delle scelte prese sino ad ora. Speriamo che questa crisi adolescenziale possa essere solo un brutto ricordo.

    Fonte: HDblog.it



     
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